Ho avuto l’opportunità di intervistare davvero molte persone in questi anni per diversi giornali, radio e siti internet. Alcune molto famose, altre meno. Alcune molto interessanti, altre meno. Sportivi, cantanti, giornalisti, viaggiatori, professionisti di vari settori. Alcune sono state chiacchierate molto belle. Altre meno.
Tra tutte, l’intervista che ritengo e sento essere la più intensa, diretta, emozionante è stata la chiacchierata via Skype con Nicolò Giraldi. Una delle ultime che ho realizzato. E qui la domanda è: Chi è Nicolò Giraldi? Trentenne, triestino, giornalista, da un paio d’anni a Londra con la morosa Giulia e una scuola di giornalismo da frequentare. Alto 1 e 76, peso 75 chili. Uno dei tanti quindi. Sì, uno dei tanti sognatori che ci sono in giro. E questo sognatore di nome Nicolò in giro c’è davvero. Un giro lungo, complesso, faticoso, duro, probabilmente disumano per il fisico e la mente tanto quanto possano

essere i 1.600 chilometri che tengono distante Londra da Trieste e che Nicolò sta ricucendo a colpi di 20 chilometri al giorno, percorsi a piedi, lungo un percorso di 60 tappe, attraverso storie, luoghi, memoriali, cimiteri, archivi, memoria, i vuoti e i pieni della Prima Guerra Mondiale. Il viaggio di Nicolò si chiama Giro nella storia, si concluderà il 9 luglio con l’arrivo a Trieste. Ora Nicolò è da qualche parte in Germania. Io l’ho intervistato la sera dell’arrivo a Dover, al suo quinto giorno di cammino. Ho provato a scrivere l’intervista almeno quattro volte senza trovare una forma che mi piacesse. Mi sembra che le domande togliessero spazio alla storia. Perché? Non lo so, c’era troppo di tutto, accidenti.
Così ho deciso di far parlare Nicolò, con il suo accento triestino, quindi quelli che seguono sono i pensieri di Nicolò Giraldi che sta camminando per l’Europa per capire come l’Europa si sia formata:
“Cerco tante cose in questo viaggio, cerco le persone che ogni giorno lavorano e studiano la Grande Guerra, che la vivono ancora. Archivisti, curatori di musei, gente normale appassionata. Non voglio raccontare la storia della I Guerra Mondiale, basta aprire internet per conoscerla. Io vado cercando chi lavora sul campo e, di riflesso, camminando vado cercando una diminuzione della velocità. Vivo a Londra da due anni e la velocità mi ha invaso. Cerco tempo per me stesso, fermarmi per strada se mi va, parlare con la gente. E’ la prima volta che vedo l’United Kingdom in un certo modo, non sono mai stato in Francia, in Belgio o in Germania.

Cerco l’uomo, che se vuoi è in paradosso, poiché la guerra annulla l’uomo… La guerra produce memoria annientando il fisico dell’avversario e gli Stati si nutrono di memoria del passato e chi controlla il passato controlla il futuro. Ho bisogno di capire dove stanno le persone che studiano la memoria di una generazione spazzata via. E vorrei riuscire a raccontare quello che l’umanità non smetterà di imparare, cioè che la guerra è la più grande atrocità mondiale che l’uomo ha inventato.
La notte prima di partire ho finito di preparare lo zaino da 42 litri, e di sistemare l’attrezzatura per realizzare i video e le interviste, che sono circa 8 chili. Ho pensato al lavoro di 6 mesi per preparare tutto. Era tutto programmato, tutto incognito. Mi sono reso conto che avrei attraversato boschi, strade, città, lingue e dialetti diversi. Programmare tutto per poi chiedermi “Ma che cazzo sto facendo…?” Ho sussurrato alla mia ragazza Giulia tutte le ansie e le tenerezze che ci possono essere prima di iniziare una cosa strana come questa.
Il primo giorno lo zaino pesava una tonnellata, poi il cervello si è abituando alla fatica. Mi sveglio alle 7, la doccia la faccio la sera prima. Per le 8 parto. Se esco dalla città devo trovare la strada, c’è il codice della strada da rispettare. Nei villaggi è più semplice. Cammino senza sosta fino a mezzogiorno, mangio frutta, cioccolato. Regolo la mia giornata sulle interviste che ho in programma quel giorno. Il mio giro nella storia sarà per l’85% a piedi… la percezione dell’Europa in casa è diversa da quella in strada. Credo si debba vivere molte esperienze diverse, viverle di pancia, d’istinto, recuperare il tempo. Confesso che parlo da solo mentre cammino. Penso che ognuno parli da solo, penso che tutti siano in grado di parlare da solo.”

Questa storia trova spazio in Per 4 Piedi perché crediamo che le storie vadano raccontate, perché Nicolò ci sta mettendo tutto il se stesso declinato in piedi, cuore, polmoni e mente per realizzare il proprio progetto. Perché sta rinunciando a molto. Perché vuole trovare la propria velocità, di gamba e respiro. Con il suo passo ed il suo stile. Che è quello che Per 4 Piedi vuole fare.
Prima di terminare la chiacchierata Parma – Dover via Skype ho chiesto a Nicolò:
“Al tuo arrivo cosa temi di non trovare?”
Nicolò mi ha chiesto di aspettare, non sapeva che risposta dare, ha detto che è una domanda perfetta, difficile, mi ha detto che vuole molto bene ai suoi nonni, che teme che il senso del suo viaggio possa non essere compreso. Non vuole tornare alla frenesia, imbattersi in situazioni e conversazioni su problemi che non esistono, non vuole sentire la gente che si lamenta per niente. Ha paura di tornare tornare a Trieste e non trovare una città sveglia, piena di vita. Ha paura di non trovare un certo interesse per le cose, dei modi gentili, non per il suo viaggio. Ma per le cose in sé.
Se vuoi Nicolò, in un certo senso, noi stiamo camminando insieme.
Un abbraccio,
Alberto (@AlbertoRosa22 e @per4piedi #4piedi)