Ricorderò solo questo.

il

 

Tecnicamente la corsa è mettere un piede davanti all’altro, con un ritmo ed una frequenza più rapidi rispetto al semplice camminare.

Dopo 25 giorni dall’infortunio, dopo il dolore che mi è sembrato un messaggio e la scoperta di un osso che si chiama cuboide, dopo l’andatura incerta e zoppicante, dopo un’eco strana tra cuore e anima, dopo tanto altro, ho ripreso a correre.

E mentre mi avvicinavo al parco Ducale di Parma provavo emozione, provavo paura. 

Tramonto, come pulire il giorno.
Tramonto, come pulire il giorno.

 

Per trovare la concentrazione ho dovuto camminare per quasi un chilometro con un flusso di pensieri silenziosi in testa e poi via, ho ripreso. E’ stato piuttosto naturale. Ritmo responsabile, come mi ha chiesto Cristina, la magnifica osteopata di Conegliano che mi ha rimesso in piedi.

“Sei tornato!”, mi saluta un ragazzo che incrocio spesso correre al parco. “Tutto ok?”

Vedo un collega in giacca a cravatta, mano nella mano con una runner accaldata. Mi vede e si scosta dalla ragazza, che ci resta male. “Ehi…” accenna sicuro.
“Ma ehi cosa? Abbracciala!”, rispondo io. Ora è lui imbarazzato e lei sorride. 

 

Il primo chilometro e mezzo scricchiolo come un vecchio pavimento di legno. Ascolto il mio corpo, sono concentrato sull’appoggio del piede: tallone, avampiede, tallone, avampiede. 

Le scarpe mi dicono: "Va tutto bene."
Le scarpe mi dicono: “Va tutto bene.”

 

Ci sto attento.

Le Mizuno nuove rosso rubino iniziano a conoscere i miei piedi e mi supportano bene. Mi sento sempre più sicuro.

Noto che un corridore mi segue, capisco che ho un ritmo che va bene anche per lui, circa 7 minuti per coprire 1 km. Guido per un giro, al secondo passa davanti lui e aumenta un po’ il ritmo. Mi accorgo di andare troppo forte. Sento che i polmoni reggono, forse anche le gambe, ma non voglio lasciarmi andare. Troppo entusiasmo. Eppure vedere tanta gente che sta superando mi fa ruggire dentro. Inizio a sudare troppo, eppure soffia un bel vento. Chissà cosa starà facendo lei? … Alberto concentrati! Che male due mesi fa all’anima, che male tre settimane fa al piede, sembrava un sacchetto di seta pieno di pezzi di vetro in frantumi. Il matrimonio di Andrea, il lavoro che… Concentrati. Quegli incontri, quei silenzi. Parole dure di addio, parole di “Sono qui”. Le brioches alla mattina, lo sguardo assonnato e bellissimo. Alberto, così non va. Stai andando troppo veloce. Vero, 5.30, troppo. Rallento, mi accorgo che il mio compagno non c’è più, vedo che è rimasto dietro, si è fermato. Sono solo, cerco la parte più morbida del tracciato. Vedo una ragazza che corre col cane. E se… Alberto, basta: o corri o pensi!

 

Che mi stessero aspettando?
Che mi stessero aspettando?

Vedo che sono a 4 km e mezzo, decido di arrivare a 5. Forse sono troppi per la prima volta, però mi sento bene. Sono sorpreso. Sono libero. Sono vivo. Arrivo al lago, vedo che le tartarughe in un mese sono diventate una tribù. Sembra quasi che mi vengano a salutare. Mi scappa un sorriso, anche se sono distrutto. Un bambino in bicicletta mi taglia la strada mentre sto rallentando. Lo fisso, non riesco a dirgli nulla. “Mi scusi”. Già mi dà del lei. Sorrido ancora di più. Poi mi fermo, respiro profondamente e con tutti i polmoni. I piedi non mi fanno male, le scarpe sembrano dire: “E’ andato tutto bene.”.

E mi tolgo scarpe e calzini per mettere i piedi nudi nell’erba. Ho sete, ho fame, ho voglia di raccontare subito a voce quello che sto provando alle persone alle quale tengo di più. Troppo entusiasmo, forse.

In questo momento va così. Domani non lo so. Ieri, è alle spalle.

Di tutto quello che ho provato non ricorderò nulla. Tranne il momento nel quale i miei piedi si sono rimessi a correre. Quel momento resterà probabilmente sempre con me.

 

 

Ciao,

Alberto (@per4piedi)

 

 

 

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