Latitudine.

Visto il bene che ti voglio, prego perché tu possa vivere prima o poi gli ultimi momenti di una Maratona, senza attraversare però i chilometri dal 38 al 41.


La cronaca dice che il 29 marzo 2015 l’Unesco Cities Marathon è stata la mia prima Maratona, che al traguardo sono arrivato in 4 ore e 14 e che l’ho attraversato con il sorriso. Il vero obiettivo era questo: difendere il sorriso dentro la fatica e l’impegno e le energie fisiche e mentali che la Regina delle distanze pretende quando la sfidi sulla strada lunga 42 chilometri e 195 metri, quelli esatti che dividono unendo Cividale del Friuli – Palmanova – Aquileia.

Ho richiesto e ricevuto tanti consigli, tutti spariti quando ho sentito lo sparo e Andrea ha detto:“Andiamo!”


La partenza di Unesco Cities Marathon, ore 9.30 del 29 marzo 2015 (foto Roberto Polesel)

Ansia, emozione, l’energia di vedere Roberto e Alessandro che quella mattina si sono fatti 70 chilometri in bici per venirci a salutare alla partenza, la potenza dell’incontro con Rebekah Gregory il giorno prima, persino il sogno gettato in strada con Andrea otto mesi fa, tutto risucchiato dopo la linea del via.

Venitemi a prendere se ce la fate”, ci ha detto la Regina, beffarda e seducente, mentre danzava in volo già lontana con i top runner del Kenya, che alla vigilia mi hanno infuso tanta tranquillità con un sorriso rosso, nero, verde come il cappellino che mi hanno messo in testa.


I top runner del Kenya (foto Roberto Polesel)

Via.


Io alla mia prima Maratona, solo 8 mesi che corro, solo 1.000 chilometri nei piedi. Andrea alla seconda in un mese.
Via, dentro le nostre magliette giallo fluo. Io con i miei piedi da Hobbit, lui con il fisico da Elfo.


Senza pietà, con estrema delicatezza.





Mi hanno detto di partire piano, poi rallentare.

Di conservare un’immagine per ogni chilometro.

Di godermi il viaggio. Che è una guerra contro me stesso. Di correre con la testa, lasciare le gambe dopo. Di immaginare il traguardo, specie nei momenti di crisi.

Di bere tanto, di osare, perché me lo posso permettere.


Ho fatto tutto e adesso sono un Maratoneta e, lo confesso, le gambe dell’anima mi tremano a scriverlo. Il resto esulta di gioia determinata.


Avevo ai piedi le mie Mizuno Ultima rosse senza cuciture. 

Le altre, oramai troppo scariche per correre una Maratona, erano nella borsa consegnata al via. 

“Perché le hai portate?”, mi ha chiesto Andrea dubbioso.

“Sarò romantico, ma voglio che in qualche modo facciano anche loro la Maratona.”


Le strade del Friuli Venezia Giulia sanno essere bellissime e solitarie, accoglienti e silenziose. Rilassate fino alla noia, esaltanti come un’isola selvaggia.

E io le ho percorse, senza chiedermi come fossi arrivato lì, solo andando.

Per la verità, al 25 chilometro mi sono chiesto cosa ci facessi io lì. Le gambe andavano bene, però non lo so, ero malinconico.

La strada fruga dentro, il sudore pettina i pensieri e ti ricopre di sale. E il sale brucia ciò che incontra e non gli piace. 


Una barretta di frutta secca, un runner brasiliano di San Paolo e le porte di Palmanova sono state la salvezza.


Il passaggio in Piazza Grande, un’immensa curva sotto il sole tra due ali di folla, mi ha commosso. 


“Eccoli i Per 4 Piedi, grande Andrea, grande Alberto”
(Cosa? Sono lì anche per noi? Grazie Alessandra!)


Vi assicuro che sono momenti più forti di un integratore.

E poi, dopo l’uscita da Palmanova, il silenzio improvviso di un rettilineo di 16 chilometri. In quel tratto verso Aquileia e il mare ho capito due cose: davvero le scarpe sono il kimono di un corridore, davvero la Maratona inizia man mano che ti avvicini al traguardo.

La Regina ti prende a sberle e solo poi ti permette di abbracciarla. Lei pretende tutto se vuoi morderle la dolcezza salata.


E tu corri, inizia a non importarti molto dello stile e del ritmo. 


Dopo il chilometro numero 30 ho attraversato la mia linea d’ombra. Andrea dice:“Ora inizia la terza gara e tutto può capitare.” Era stanco anche lui, il piede destro dolorante, eppure era lì. 

35. 

“Sai che a Venezia da qui iniziano i ponti, sarà un massacro.”

E io faccio una cosa strana. Rido di gusto.

“Te sei proprio matto, perché ridi?”

“Che ne so, mi sto divertendo.”

Bevo molta acqua, mangio spicchi di arancia e mela. Sto bene, il ritmo è buono, il respiro e il battito sono perfetti. 

Il cartello del 38 è vicino ad una siepe. 


La Regina sbuca fuori all’improvviso sembra ci baci mentre mi afferra le spalle e colpisce il piede di Andrea. Poi fugge in avanti, ridendo. Il braccio sinistro sembra staccarsi dal corpo e lo stesso fa il destro per riprenderlo. Le gambe sembrano tornare indietro, verso Palmanova. La testa è confusa, eppure resta lucida. Andrea non sente più la gamba destra. “Dai che tra un po’ torni da tuo figlio”, gli dico.

Inizia a piangere.


L’“Ultimo Chilometro” è stato una costante della mia infanzia, quando guardavo con mio papà le gare di ciclismo.

Una volta una gara importante terminava a Conegliano. Mio papà mi ha portato con la macchina lungo il rettilineo finale per farmi provare cosa si sente. Sulla macchina, la mitica Fiat 128 Special, avevamo quello che oggi si chiama pass stampa e che spesso porto al collo.

Ho ritrovato quei brividi.

“Dai che ci siete”, ci dice un corridore che ha già finito e mi dà il cinque.


Torno alla realtà, sento la gente, sento che il sogno sta prendendo forma. 8 mesi fa non correvo sul serio e avevo una caviglia rotta. Pesavo quasi nove chili in più. Lo sport lo raccontavo e basta, e francamente iniziava anche a non piacermi più farlo. 8 mesi fa Per 4 Piedi non esisteva come c’è ora. 8 mesi fa non conoscevo tutte le persone belle che ho incontrato lungo le strade che sto correndo. Non conoscevo forse nemmeno me stesso. Non conoscevo questa pena che fa le capriole con la gioia e si unisce con la mescola delle scarpe e con il sale che ho addosso. 





L’arrivo ad Aquileia è una curva secca a sinistra, sulla passerella rossa. Andrea mi prende la mano e mi lancia. Sta piangendo come fosse la sua prima gara. Un altro amico di nome Andrea con sua moglie Zoe mi urlano:“Duro!”. Credo di aver corso gli ultimi 195 metri in 20 secondi. 


La Regina mi morde il ginocchio sinistro e mi fa il regalo di poter arrivare da solo, di alzare le braccia, di avere al collo una medaglia bellissima con inciso sopra Unesco.


La medaglia dell’Unesco Cities Marathon (foto di Chiara Bortolato)


E di stringere Chiara sopra le transenne per tatuarmi quel momento nella pelle a vita. Di abbracciare Gigia e sollevarla da terra con le briciole di forza che ho. Di dire a Dada che le sue vignette sono fantastiche. Di dare il cinque a Mara, alla sua famiglia e a chi è venuto a vedere cosa combinavamo io e Andrea.





“Cosa abbiamo fatto?”
“Abbiamo dimostrato che si può fare, si può sognare.”


E credo che ad ogni latitudine, se accadono ancora cose così, il mondo sia un bel posto dove vivere.


Regina, vieni qui.


Di cuore,


Alberto (@per4piedi)

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