Parti prima che la città si svegli.
È sabato mattina e più di qualcuno sta già lavorando nel mondo. Quindi, ancora una volta, la corsa ti ricorda che sei un privilegiato per il solo fatto di poter fare una cosa che ti piace tanto. Hai un obiettivo, ambizioso, affrettato, matto. Tu ci provi, perché sei fatto così.
Corri. Pensi. Tutto lentamente. Questa mattina l’unica cosa che non ci deve essere è la fretta. Rifletti sull’ironia che ‘il ritmo della corsa’ in inglese si chiami ‘pace’. Questa mattina ci deve essere soltanto pace.
La corsa è per la mente quello che lo spazzolino è per i denti.
Via. Lento, forse anche troppo.
Che importa?
Quando inizia a piovigginare nemmeno te ne accorgi. Bevi dalla bottiglietta che tieni in mano. La barretta di frutta secca è nella tasca posteriore dei pantaloncini.
Indossi una maglia arancio fluo: a chi corre qualcosa di eccentrico è permesso.
Lo sport è colore, dice qualcuno.
Piove da tutte le parti. Prosegue così per dieci chilometri, un terzo, quello centrale, del tuo obiettivo. Un’ora scarsa a nuotare nella campagna che si è fatta lago.
Non puoi evitare le pozzanghere, ma le scarpe tengono ancora bene.
Non vedi più quasi nulla.
Incontri una pensilina, ti fermi, sgranocchi la barretta mentre osservi la pioggia. “Ti fermi tu prima di me”, pensi e riparti.
Via, via, via.
Sempre più piccolo, sempre più distante.
Cosa c’è dopo quella collina?
Trovi il primo cielo azzurro del giorno. Che non è proprio l’alba, ma mette allegria.
L’obiettivo si avvicina. Stai bene. Ascolti il tuo corpo: il respiro è leggero, il passo disciplinato. La mente è tranquilla.
Potevi fermarti, ma non saresti mai arrivato alla vigna lungo il sentiero.
(E perché no? Un paio di acini non cambiano il raccolto… e che buoni).
Trenta.
Tranquillità e Grinta a volte ballano insieme.
Ciao,
Alberto (@per4piedi)