Karate.

Quando corro spesso non penso alla corsa.
Anzi, quando inizio a provare fatica, la mente si è abituata a spaziare tra le idee più bizzarre per distrarsi.

Uno dei pensieri più buffi corrisponde alle varie tecniche possibili per sbucciare la frutta… 
Una volta, durante un allenamento particolarmente lungo, il pensiero è stato distratto da un insetto tra le pannocchie già secche, che ha portato il suo volo tra i giunchi di inizio autunno.  

Un’immagine gentile, che mi ha suscitato una sensazione di disciplina precisa e di libertà assoluta

Un’associazione mentale che mi ha indotto a pensare alle arti marziali, argomento questo che mi è familiare come l’astronomia: so che esiste, ma più di guardare le stelle non so fare. 

(Però guardare le stelle mi piace un sacco, specie se … questa è un’altra storia). 

Mi sono anche ricordato che una persona mi ha regalato una copia de “L’arte di correre” di Murakami e una copia di “A perdifiato” di Covacich. Quella persona però poi mi ha detto che la copia del secondo libro non era più un regalo: te lo restituirò appena ci vediamo, tranquilla.
In entrambi i libri la corsa è vista come fuga. Nel primo una fuga positiva, che riempie di energia in mezzo al sacrificio e al metodo. Nel secondo è una fuga ossessiva, che svuota in mezzo all’autodistruzione folle. 

Tra tanta confusione nel libro di Covacich però c’è una definizione netta, che mi ha colpito: “La Maratona è un’arte marziale”.
Non avendo dimestichezza con le arti marziali, ho dovuto correre una Maratona per comprendere quella frase. O almeno credo di averla compresa.

  
E se la Maratona è davvero un’arte marziale, allora le arti marziali, ad esempio il Karate, sono una sfida come te stesso, che diventa un modo per conoscerti facendo esperienza di te nell’ambiente, nello spazio, nel tempo attraverso il movimento. Soprattutto il movimento della mente, che si esprime e prende forma e si manifesta attraverso il corpo. 
Forse non serve nemmeno un avversario fisico reale di fronte per raggiungere la piena consapevolezza di se stessi. Certo, è un viaggio, lungo, fitto, denso, asfissiante, pieno di colpi presi e dati. E forse per darli i colpi ci vuole più allenamento che per prenderli. 

Nessuno dice che sia un viaggio semplice. La disciplina, la coerenza, la chiarezza nei pensieri e la coerenza tra pensiero e azione credo siano tutti atti di coraggio e dignità. Forse, non sono per tutti.  

  
Allora, mentre la fatica della mia corsa stava passando e aumentava l’energia, in una sorta di vaso comunicante, mi sono accorto che correre mi sta insegnando a vivere la mia umanità, e che la fatica, le emozioni e l’adrenalina scatenate dall’istinto di procedere in avanti pretendono di esprimersi dentro una disciplina precisa. Ripetitiva. Piena di rispetto. 

E dentro quel ripetersi del gesto si schiude piano un’arte che è una fuga di libertà assoluta.

Un abbraccio,

Alberto

(@per4piedi)

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