21 chilometri e 97 metri davanti. Tante persone colorate attorno. Il cielo millanta pioggia, tanto non pioverà.
Chi corre per il tempo dice, ed è vero, che c’è il clima ideale per fare il tempo. Io non ho ancora capito cosa significhi davvero “fare il tempo”.
C’è l’inno d’Italia (pelle d’oca). C’è Daniele Meucci, lì davanti: con New York in testa, pensando alla Maratona olimpica di Rio de Janeiro.
C’è il via della seconda edizione de La Mezza di Treviso. Una mezza Maratona che vale il giro del mondo, meno l’Oceania, ma credo sia solo questione di tempo. Nel 2016, l’anno delle Olimpiadi, alla sua terza edizione, La Mezza avrà almeno un partecipante dell’Oceania, a costo di tesserarmi con una squadra neozelandese.
Nel 2014, questo tracciato è stato la mia prima mezza Maratona. Correvo da quattro mesi. Era stato un sapore perfetto; è stato un viaggio di incontri.
Cioè quello che per me significa correre. E anche se questa volta i miei piedi erano da soli nella griglia di partenza, non sono mai stati così in compagnia come dopo lo sparo del via. A me piace correre in solitaria, essere padrone del tempo che ritaglio per me. Eppure, qualche volta, poter correre con qualcuno è un regalo bellissimo.
Via. Dentro le mie nuove Mizuno Wave Ultima 7, azzurre. La prima gara con loro.
Incontro subito Moreno. Con lui ho corso 18 chilometri un paio di settimane dopo l’Unesco Cities Marathon, proprio su una parte del tracciato de La Mezza di Treviso. Indossa la maglia del Ren Bu Kan Running.
Corsa e Karate si incontrano. Parliamo mentre prendiamo velocità, alla ricerca del ritmo che la giornata ha già in mente per noi. E riusciamo a confrontarci sulle difficoltà dell’allenamento durante un’estate africana come quella passata e sulle energie mentali e fisiche che una Maratona impone. Mi rendo conto che il Karate pretende una disciplina che fulmina la creatività in un istante. La Maratona pretende una disciplina che lascia affiorare la creatività resistente. Mai come in quel momento ho capito perché la Maratona è un’Arte Marziale. Sto imparando a correre in progressione e il mio ritmo mi porta ad andare avanti.
Mi si affianca un concorrente. Ha l’espressione concentrata e felice. Mi dice:“Finalmente ti conosco” e mi parla del blog. In un paio di chilometri mi racconta un sacco di cose di sé. E poi quella che mi spiazza:
“Per me essere qui a correre oggi è una favola. Due anni fa mi avevano detto che per l’asma non avrei più potuto correre. Anche grazie alle vostre storie sono qui.”.
E per non commuovermi mi sforzo di concentrarmi sui miei passi. Bevo qualche sorso d’acqua dalla mia bottiglietta, mentre ci avviciniamo al parco della Provincia. Lo vorrei abbracciare, quel runner sconosciuto e pieno di coraggio e pieno di passione, che mi ha insegnato moltissimo su quello che sto facendo.
“Ciao Alberto.” “Ciao Enrico.” E dò la mano al presidente di Diadora, mentre corriamo. E’ alla sua prima mezza Maratona. Non l’ha preparata al meglio, dice. Ha corso poco nelle ultime due settimane e in città molto umide. Io vedo solo un corridore che si diverte e dà il massimo per arrivare al traguardo con tutto se stesso.
Dopo un’ora della mia gara sento mente e corpo che fluiscono insieme. Le scarpe nuove guidano e si lasciano guidare. E’ una sensazione di completezza e libertà.
Penso che Meucci sarà già arrivato. Spero abbia vinto. So che all’alba ha corso una decina di chilometri e dopo il traguardo proseguirà per altri cinque. Il suo programma prevede questo. Non c’è solo New York, c’è Rio, soprattutto. L’ho conosciuto il giorno prima.
Il suo sguardo mi incuriosisce, non riesco a capire dove finisca la concentrazione e dove inizi la serenità. Mentre sale la fatica, nel lungo rettilineo con tratti di sterrato che porta al centro storico di Treviso, vedo alcuni equipaggi di canottieri che si allenano lungo il Sile. Urlano per incitarsi e danno la carica anche a noi che corriamo.
Penso a cosa possa pensare Daniele Meucci quando sente la fatica che lo raggiunge. Quando la notte gli sale l’ansia. Magari si chiede se i sogni che ha realizzato e quelli che lo aspettano valgano tutti i sacrifici che vive. Penso, dunque, che un campione si crei in silenzio, senza sosta, cercando la felicità dentro la fatica. Come una goccia, che continua a volare, cercando la sua forma perfetta. E per vincere un’Olimpiade, persino la leggendaria New York Marathon diventa una parentesi.
E per vincere un’Olimpiade bisogna ogni giorno mettere un piede davanti all’altro.
È la declinazione mentale della passione che, a volte, fa la differenza.
Penso che in tutti gli incontri che ho avuto la fortuna di fare prima dopo e durante La Mezza di Treviso, ci siano persone che cercano di vincere la loro Olimpiade. Chiunque siano, da dovunque partano. Migliorarsi in ogni momento. Rischiano, combattono, amano.
Sto tornando alla macchina con la mia medaglia al collo. Vedo due ragazzi che fanno stretching.
Lui si allunga più di quanto l’esercizio che sta svolgendo chieda e la bacia sulla guancia. “Che fai?” “Ti sto dicendo grazie.”.
Un sapore perfetto.
Alberto
(@per4piedi)
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