Sotto di me l’asfalto mi fa rimbalzare. L’aria è quella frizzante di un pomeriggio d’inverno troppo caldo. Ai piedi ho un paio di scarpe non ancora uscito nei negozi. E’ un prototipo. Qualcuno me lo ha mandato chiedendomi di provarlo. Cosa che mi onora e che dovrebbe assorbire tutta la mia attenzione.
Eppure il mio pensiero torna all’incontro che ho fatto questa mattina, mentre facevo alcuni esercizi a corpo libero, in una palestra che ho iniziato a frequentare.
Fare sport il sabato mattina, molto presto, sta diventando una piacevole abitudine.
Mentre corro, penso all’uomo che ho incontrato. Quasi 60 anni, fisico asciutto. Mi hanno detto che è un esperto di triathlon. Lo hanno definito così, perché ne ha completati almeno una cinquantina di triathlon, Ironman compresi.
Nell’immaginario collettivo un triatleta è un atleta totale, una macchina perfetta tra le macchine perfette. Una sorta di Micheal Phelps, Eddy Merckx e Gelindo Bordin mescolati insieme. Eppure, i triatleti, uomini o donne, sono persone normali, con i sentimenti di tutti, emozioni e paure comprese, declinate a volte dentro nuoto, ciclismo e corsa.
Potenza. Esplosiva. Costante. Pulsante. Necessariamente Perfetta.
Mi ha colpito la calma di quell’uomo, mentre ricercava la perfezione in ogni movimento. Con la schiena e le braccia distese a terra, l’uomo sollevava lento le gambe fino a portarle il più in alto possibile e poi, vertebra dopo vertebra, il più vicino possibile alla testa.
Aveva un’espressione concentrata, forse con una smorfia disegnata da quel dolore che ti prende quando capisci che la passione, dopo tanti traguardi di braccia alzate e muscoli masticati dalla fatica, ti può portare ancora oltre i limiti che pensavi di avere.
E’ volontà di precisione. Non per dimostrare qualcosa al mondo. Piuttosto, per regalarsi la consapevolezza di potercela fare, una volta in più.
Credo che per raggiungere quell’equilibrio, mente e corpo debbano prima incontrarsi, aspettarsi poi camminare insieme per un lungo percorso. Una costanza leggera, senza ossessioni o ansie. Chissà se riuscirò mai a vivere qualcosa di simile.
Lungo quel percorso possono succedere tante e tali cose, enormi scossoni e dolcissimi abbracci, fulmini che deviano la direzione, ponti che compaiono all’improvviso dove la strada sembrava interrotta. Scintille, folate di vento contro, che dopo un giro ritornano a scompigliarti i capelli e ti fanno volare.
Ci vuole libertà e ribellione, ci vuole disciplina e creatività.
Ci vuole la pace delle cose selvatiche. Ecco qui.
Alberto
(@per4piedi)