Romina si ferma di colpo. Si volta e alza la testa verso l’arco gonfiabile che segnava l’arrivo della corsa che abbiamo guardato.
I volontari stanno già sgombrando la strada, slacciano gli striscioni degli sponsor lungo il rettilineo finale, arrotolano il tappeto azzurro che accompagna gli ultimi venti metri di gara.
“Però. Mi fa effetto. Com’è?”, mi chiede senza staccare gli occhi dell’arco.
“Fa effetto, vero?”, rispondo.
“Com’è?”, ripete.
“Il traguardo ti attrae. Quando parti è già lì ad aspettarti. Puoi metterci tutto il tempo e le energie di cui hai bisogno. Puoi fermarti o correre a perdifiato. Puoi camminare e goderti i particolari lungo la strada. Lo puoi raggiungere da solo o attraversarlo alzando le mani insieme a qualche compagno di viaggio.” Ricominciamo a camminare e percorriamo gli ultimi cinquanta metri di rettilineo prima del traguardo.
“Il traguardo ti attrae perché gliene importa poco della strada che hai fatto e di come l’hai percorsa. Proviamo?”.
Romina e io ci voltiamo verso l’arco. Due volontari si appoggiano ad una transenna e ci guardano. Un vigile sta passeggiando sul marciapiede.
“Ora ci arresta”, dico ridendo. Romina è concentrata.
“Non vorrai mica fare una gara?”.
“Certo, al tre.”
Ecco la forza magnetica del traguardo. E non è ambizione, agonismo. Credo sia voglia di raggiungere se stessi e poi riposarsi. Breve o lungo sia il percorso. Pompando adrenalina nel frattempo.
Tre!
Partiamo solo per voler arrivare prima dell’altro. E’ istinto di competere e voglia di divertirsi. E’ rispettare la strada e chi è con te.
Ha scritto Jack Kerouac:“Bisogna essere innamorati della propria vita. Ogni minuto di essa.”
Il traguardo e il riposo vanno rispettati. Dopo averli raggiunti.
Ciao,
Alberto
(@per4piedi)