Io sono Fenice.

Quest’anno ho capito tante cose. 

Ad esempio, ho capito che ci sono persone che entrano nella tua vita quando stai pensando a tutt’altro. E ti accorgi che avevi bisogno di quell’incontro.

Poi ti affezioni, magari un attimo prima che quelle persone se ne vadano. Forse per qualche tempo o per sempre. Ho capito anche questo. E a volte mi sorprendo a pensarla mentre faccio qualcosa che è solo mio, come correre.

Ho capito che ci si può affezionare anche ad un tragitto, ad un percorso, ad una gara.
E per farla, ancora una volta, si fa di tutto. Come fosse qualcuno di prezioso da andare a trovare ogni tanto. Ti sembra buffo, vero?

La Mezza di Treviso è stata la prima gara importante alla quale ho partecipato. Ed è stata amicizia al primo passo. Sono passati due anni dalla prima volta e di edizioni, questa 21 chilometri, ne ha già vissute tre.

Quando corri a La Mezza di Treviso attraversi la Natura, attraversi l’arte, passi accanto a ville venete incastonate in giardini di erbe aromatiche e a fiumi che ti sciolgono i pensieri. Per molti runner è forse la prima mezza Maratona, come lo è stata per me, e questo credo moltiplichi l’adrenalina e le energie attorno. Anche questo ho capito quest’anno, mentre la correvo, pensando solo ai miei passi. Pensando solo al presente, che è l’unico luogo dove possiamo essere noi, interamente. 

Il giorno prima, qualcuno mi ha detto:”Domani corri e basta. Mindfulness. Il resto viene da sé.”

Ci sono parole che segnano un periodo della vita. Che provengono da chissà dove, scompaiono e poi ritornano all’improvviso. Per me mindfulness è una di queste parole.

 Ho imparato che significa: “Restanconcentratosulmomentochehaisottoipiedietralemani“.

Sì, tutta una parola.

È stato un anno complicato, denso. 

Nella corsa il mio 2016 è segnato da tre momenti: una mezza Maratona a cui non ho partecipato, decidendo di non partire sulla linea di partenza. 

Testa troppo complicata, troppo densa. E il fisico segue. 

Una strana primavera. Volevo non correre più. 

Poi una mezza Maratona, dentro un tramonto d’estate, che diventa carne e sudore e cuore che pompa e muscoli che si riempiono di acido lattico e tutto che realizza un sogno. Quello di un’amica che voleva vedere com’è la vita dopo la linea del traguardo. E per mesi si è percorsa tutte le colline attorno a casa sua, spesso all’alba, spesso di domenica, per realizzare quel sogno, senza rinunciare alla sua vita. E mi ha chiesto se l’accompagnavo tra le colline e fino alla fine del sogno.

Poi la Mezza di Treviso, toccava a me. 

L’estate ha fatto troppo caldo per affrontare qualunque cosa e la mia testa non era ancora pronta per correre a lungo. Però agli appuntamenti importanti bisogna arrivare belli, freschi di doccia e riposati. 

Già, quest’anno ho capito che il riposo è un compagno di viaggio vitale, tanto quanto la costanza. 

Quindi ho deciso di allenarmi per bene, nel poco tempo che avevo, poco più di un mese. E mi sono messo in strada, ogni giorno, in ogni chilometro se ne andava qualche grammo di pesantezza, qualche grammo di densità negativa. 

Lo spazio lasciato se lo riprendevano forza, fiato, flessibilità. Ho allungato il mio corpo per ore intere. Mi sono rotolato sopra un cilindro arancione. Mi sono concentrato sul respiro, solo su quello. Ho sollevato il mio corpo con le braccia. Ho corso di nuovo, fino ad essere di nuovo libero mentre correvo. È una sensazione bellissima. 

Non vorrei mai smettere con questo gioco che si chiama corsa.

Poi è arrivato l’autunno e l’autostrada che mi ha riportato al parcheggio vicino alla partenza di Treviso. Il riscaldamento lungo le mura. L’ingresso nelle gabbie, le risate tra sconosciuti, l’inno nazionale, i pugni sulle cosce per il freddo, il conto alla rovescia, i piedi che si mettono in viaggio, i passi che diventano corsa, il concerto metallico dei gps, i segni della croce, la linea di partenza. 

Ora tocca a me. 

In quel momento la mente diventa semplice, agile. E il fisico segue. 

Sono anni, almeno quattro, che vorrei farmi tatuare una fenice, con la testa sul polpaccio sinistro e la coda fino al piede. 

Se non l’ho fatto, non lo farò forse mai.

Ma nel presente che mi porta sotto l’arco del via del La Mezza di Treviso, con la mia bottiglietta d’acqua in mano e il cuore dentro alla scarpe, io sono Fenice. E corro libero.



Ho capito anche un’altra cosa quest’anno: prima o poi tutto questo te lo racconterò dal vivo.

Già già già.

Ciao,

Alberto

(@per4piedi)

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