Simone parla e io mi chiedo come faccia a far sembrare tutto ciò che racconta tanto semplice. Alla portata di tutti. Lo svelerà alla fine della storia.Intanto fuori, Milano sta spegnendo un altro giorno di novembre, denso di qualcosa di indefinibile, ma che ti fa sentire a volte così vivo. Dentro, la Galleria Rizzoli ospita quella che formalmente è la presentazione di “Nanga”, ultimo libro di Simone Moro. In realtà, la chiacchierata di Simone con Linus si trasforma in narrazione, sportiva e umana, che mi fa venir voglia di scrivere, con urgenza, pensieri ed emozioni che mi scorrono dentro.
“Nanga” racconta il progetto, la pianificazione, la preparazione, la conquista dalla montagna più grande del mondo, alta 8.125 metri, che Simone, Tamara, Alex e Alì hanno conquistato in febbraio, in pieno inverno, qualcosa mai fatto prima. E’ talmente enorme questa impresa alpinistica che ogni aggettivo rischia di non definirla compiutamente. E’ un corteggiamento, come recita, quasi timidamente, la copertina del libro.
E Simone racconta.
Racconta la tenda grande quanto un tavolino da soggiorno in cui hanno dormito in quattro, anche sospesi nel vuoto. Il Nanga raggiunto nell’inverno pakistano è la spedizione a cui ha dedicato più tempo “io con il pensiero, prima ancora che con il corpo, sono stato lì, in ogni momento di un anno intero”. Il corteggiamento diventa quasi un’ossessione, che Simone controlla, con esperienza, sensibilità e rispetto. Sa, lo ha sempre saputo, che il concetto di rischio sarebbe stato ridisegnato verso la vetta del monte Mangia Uomini. Descrive i meccanismi di nutrimento del cervello (che consuma solo zuccheri ed ossigeno) con la stessa leggerezza precisa con cui analizza gli allenamenti di corsa che sostiene. “Almeno 15 chilometri, ogni giorno. Altrimenti non riuscirei a fare quello che faccio. Non sarei me stesso. Ho da poco compiuto 49 anni e peso, corro, sono veloce come quando ne avevo 20. Non perché sia un fenomeno, anzi, ma perché sono costante e ferreo in ciò che faccio.”
C’è spazio per le risate, tante, specie sulla convivenza dei quattro compagni nello spazio della tenda. Hanno mangiato spesso i tortellini. “Sono facili da cucinare anche lassù: abbiamo fatto sciogliere la neve del Nanga nel pentolino sopra il fornello. Un dado per il brodo. Parmigiano e via.”
Dormire è fondamentale. “Certo, quando ti svegli raramente dici “che figata di dormita”, però io riesco a dormire ovunque. Più ti avvicini alla vetta, meno riesci a riposare. Tutto diventa più lento, ovattato. La lucidità mentale lì è tutto.”
Diventa imperturbabile quando motiva di aver rinunciato al piccolo confort delle solette che riscaldano i piedi con una resistenza a batteria per una questione etica e perché “quando fai una cosa unica, poi ti contano anche i peli sul corpo e trovi qualcuno che ti giudica.”
Mi colpisce l’approccio mentale con cui razionalizza la gestione del rischio. Simone ha deciso di partire alle sei del mattino e non a mezzanotte per affrontare gli ultimi mille metri. “Così avremmo avuto “solo” quattro ore di buio prima dell’arrivo dei raggi del sole, che avrebbero illuminato la vetta. Visualizzare la meta psicologicamente serve.”
E poi il racconto si fa estremamente serio sulla crisi di Tamara. “Ad un certo punto mi ha detto: “Simo, se arrivo in cima mi dovete dare una mano a scendere”. Io ero al mio limite. Ho perso il contatto visivo con Tamara e ho raggiunto la vetta con Alex e Alì. Lassù contempli l’orizzonte della Terra, che così curvo non l’ho vista mai. Cioè, lo sai che la Terra è tonda, ma lì lo vedi proprio.” E poi la discesa, più lenta del previsto, perché la forza era esaurita. E non incontrano Tamara.
Dov’è?
Tamara è ritornata nella tenda e “la luce che ho visto nella tenda mi ha guidato. Io credo che se non ci fosse stata quella luce non so ce l’avremmo fatta. Stava arrivando il buio, il freddo totale e quella luce è stata il solo punto di riferimento. Tamara più tardi mi ha detto che ha sentito una voce dentro di sé nel momento di maggiore crisi “Tamara, puoi arrivare alla cima, ma poi non torni più a casa.” E ha deciso di fermarsi.”
Quando il racconto finisce, Simone svela il segreto:“Questa spedizione non fa parte delle cose da super uomini. Sono cose iniziate e finite rimanendo nella normalità, che è forse il super potere che abbiamo tutti.”
Ecco, svelato il super poter, la normalità.
Fuori Milano accende la sua serata.
Ciao,
Alberto
(@per4piedi)