Quando corre, Valeria guarda il mondo da un paio di occhiali da sole sportivi. Hanno le lenti rosso laser. Stiamo correndo su un falso piano dalle parti di Sarmede, dove sulle pareti delle case ci sono tanti disegni buffi. Maghi, giocolieri, uomini che volano. Qui si tiene il Festival dell’illustrazione per l’infanzia.
Valeria è un’ultramaratoneta. Ho imparato che essere un ultramaratoneta significa percorrere talmente tanti chilometri che alla fine ti trovi un nome nuovo. Tutti i chilometri che Valeria ha corso l’hanno ribattezzata Valeruz.
“Quante Maratone e ultraMaratone hai corso?”
“Mmm boh, dici ufficiali o non ufficiali? Adesso sto preparando la mia seconda Nove Colli.”
Ecco, intendo questo.
Valeria ha corso la Maratona di New York nel 2008 e lo scopro mentre percorriamo a buon passo un sentiero che incrocia un corso d’acqua sopra un ponte.
E mentre corro e mi riempio lo sguardo con le colline, ascolto il racconto di Valeruz sulla sua Maratona newyorkese e penso alle ragazze del progetto #RuntoNYC di Diadora e a come sarà per loro quella corsa laggiù.
“Credo che sia la Maratona più enorme che ho corso. Credo sia proprio per la città. Sono stata a New York una settimana e tutto quello che ho visto, respirato, sentito era moltiplicato per cento. C’è talmente tanta umanità che ti senti al centro di tutto. Respiri che cosa sia un’opportunità.”
Un ricordo dolce e duraturo, anche se correre quella Maratona non è stato semplice.
“Forse proprio perché ho avuto molte difficoltà. Ho avuto problemi di stomaco prima della partenza e sono arrivata a fatica al decimo chilometro. Mia sorella Ilaria mi è stata vicina, stavo davvero male. Lì corri in ogni istante contornata da una marea di persone. Se ti volti un attimo perdi tutti quelli che avevi attorno un attimo prima. E così al 13 chilometro mi sono dovuta fermare per riprendermi dal dolore allo stomaco. Ilaria non se ne è accorta e, quando ho ripreso a correre, mi sono trovata da sola al centro di una folla di sconosciuti. Ammetto che ho avuto un po’ di smarrimento. Era la prima volta che mi trovavo in un contesto con così tante persone attorno, tutte diverse per età, pelle, lingua, modo di vestire e stile di correre. O meglio, di interpretare la corsa. Era la mia terza Maratona e ho scelto di finirla, in qualche modo. Ho ripreso a correre e man mano che i chilometri scorrevano lungo le immense Avenue mi sentivo sempre meno sola tra la folla di sconosciuti. Il tracciato è particolare, ci sono molti sali scendi, non è complicato se lo capisci. Quando arrivi nelle parti alte vedi giù tutta le gente che corre e il pubblico. E’ mozzafiato. Il resto te lo racconto quando finiamo questa salita.”
Mi viene in mente di aver letto da qualche parte che Manhattan sia una parola di origine indiana che significa più o meno “l’isola delle colline”.
Il nostro tracciato sale all’improvviso su un sentiero acciottolato. Tira molto e non voglio mollare. La differenza tra correre ed allenarsi la provi in tratti così. Nessuno te lo fa fare di provare dosi di fatica che sembrano infinita. E’ una scelta. Poi arriviamo al picco della collina e guardiamo giù. Non c’è la folla oceanica di New York, ma con un po’ di fortuna in una giornata così dalla colline vedi Venezia.
Valeruz riprende il racconto.
“Mi ricordo che il pubblico è qualcosa di incredibile. Tutti ti incitano senza sosta come fossero i tuoi migliori amici. Mi sono sentita a casa e stavo sempre meglio. Quando passi dentro un tunnel all’improvviso il boato della città si è trasformato nei passi dei corridori. Ma quanti ce ne sono attorno a me? Mi sono chiesta. La luce in fondo era una forza magnetica incredibile. Fuori di nuovo la folla. E poi al ristoro del chilometro 30 ritrovo Ilaria, incredibile. Siamo arrivate al traguardo insieme e nella zona dell’uscita siamo riuscite persino a incontrare nostra mamma, che era venuta a New York con noi. Hai presente quante cose ho provato in quel percorso? Ci tornerei subito, a piedi, per correrla di nuovo.”
E secondo me, sotto gli occhiali color laser, Valeria controlla un segno di commozione. E dopo tanta salita, c’è una discesa da affrontare. E lì Valeria apre il gas e si butta giù in picchiata.
Dopo forse mi faranno male i polpacci, ma questo vento è tanto bello!
Ciao,
Alberto
(@per4piedi)
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