Trail de le Longane: quassù c’è una luce meravigliosa.

Dell’importanza di scegliere ne ho già parlato qui. Che c’entra questo con correre un trail? Lo vediamo tra un momento. 

Lozzo di Cadore, 15 chilometri di bosco, erba, san pietrini e sterrato per 1.100 metri di dislivello positivo. Riassunto: tanta roba.


Tanta roba davvero il trail de le Longane, sotto ogni punto di vista: il paesaggio, l’atmosfera, l’organizzazione, le facce allegre ai ristori, la lotteria finale, la maglietta del pacco gara della Karpos, che mi fa due spalle così.

Correre nella natura non è il mio ambiente: mi viene sempre da fermarmi e guardare il paesaggio, fotografare, respirare. Però volevo provarci. Poi alla partenza accade qualcosa. Incontro il mio amico Moreno Pesce, che a 20 anni ha perso una gamba in un incidente in moto e non si è lasciato cadere. Se la vita gli è andata in testa coda, lui ha preso la coda e l’ha riportata in testa. Gioco di parole per dire che Moreno è uno skyrunner, un campione di vertical e trail con una protesi in carbonio alla gamba sinistra, con un pesce disegnato sopra. E tra i sentieri fila. Come si fa? Si chiama tenacia, di quella grande come il mondo che riesci ad immaginare. E un po’ di più. 

Non era da solo, con lui c’era Diego


Diego è un montatore industriale, un trasfertista. Di quelli che trovi un giorno in India, due giorni dopo in Brasile. Poi sbucano in Cina e ripartono dall’Africa per la Russia. E’ di Longarone e la sua ragazza è originaria di Mosca. Come tutti gli uomini di Longarone che conosco, all’inizio è schivo, parla poco e mi sembra che si porti negli occhi la malinconia della tragedia del Vajont. Diego ha girato tutto il mondo e nei lunghi viaggi ha coltivato la grande passione per la fotografia. Dopo anni di analogico e diapositive, qualche tempo fa è passato al digitale. Ha una Canon e una collezione professionale di lenti ed obiettivi. Diego, cinque mesi fa, mentre stava montando qualcosa, si è trovato il mondo addosso e si è rialzato senza una gamba. Dalla coscia in giù. Quattro mesi durissimi, tra senso di ingiustizia, letti sudati, una vita da rifare, da zero. Mentre il peso aumenta, come aumenta l’ansia. 


Poi basta e riprende per mano la sua vita e la riporta in giro, con la prima protesi. E fa un trail, dopo un mese che ha ripreso a camminare. Io volevo raccontare questa storia e volevo camminare con loro due chilometri al massimo e poi fare il mio trail con il mio ritmo.

Il trail de le Longane parte in mezzo al paese di Lozzo, con un suggestivo anello tra i mulini restaurati, da cui si vede dritta in fondo la valle. Poi ci sono i vicoletti tra le case e il museo del latte. Si ritorna in piazza, per uscire dal paese e prendere la strada per sparire nel bosco. Diego mi colpisce perché ha una forza d’animo massiccia che trasuda dalla maglia tecnica e dai pantaloni lunghi che indossa. Al collo la sua macchina fotografica e la voglia di trovare l’equilibrio dalla protesi che prende confidenza con il terreno in salita di Lozzo. Con noi c’è anche Claudia e il suo sguardo dolcissimo. 


Al giro in piazza, abbiamo molti occhi addosso, curiosi, imbarazzati, sorpresi. In quel momento scelgo di restare con Moreno e Diego e di fare tutto il percorso con loro, ovunque ci porterà. La corsa: le montagne non si spostano, le ritrovo la prossima volta e le Longane sono sagge e furbe, amano gli avventurosi e ci aiuteranno.

E le Longane ci hanno aiutato.

La salita fuori dal paese trasforma le case e l’acciottolato in roccia e radici. E Diego sale. Moreno è nel suo ambiente, lo guida, gli dà i suggerimenti che il professionista dà al novizio. Diego ama la montagna, poi c’è una luce molto buona per fotografare, ma adesso la macchina fotografica è meglio rimetterla nello zaino e tirare fuori le racchette. E su. Piano, veloce. Rapido, lento. In un attimo il tempo si annulla. Procediamo, parliamo, ci raccontiamo. E ci ritroviamo a fare una cosa fragile, potente. Claudia, Diego, Moreno ed io ridiamo. Siamo quattro sportivi in gruppo. Una staffetta che si muove insieme. Le Longane ci aiutano anche perché al primo ristoro, al quinto chilometro (al quinto chilometro…) in mezzo al bosco c’è una festa ad aspettarci. Vino, salame, cipolline, formaggio e pane. Se con una protesi alle gambe sei arrivato lì, non ti stupisci di trovare un convivio sotto gli alberi e due falchetti che segnano il confine del cielo. Qui ridiamo molto e poi ripartiamo. 


C’è un sali e scendi degno del Signore degli Anelli: radici ovunque, ma il sentiero è ben pulito. Bisogna aiutarsi, restare in equilibrio. No, bisogna trovare l’equilibrio dentro di sé per aiutarsi. E proseguiamo. Incontriamo qualcuno che cura le api dentro le arnie. E vediamo i segni dei corridori che ci hanno preceduto. Alle Longane ci si muove con piedi di capra. E i piedi di capra possono avere molte forme. 

Diego è sfinito, di quella stanchezza che genera gioia. Di quella stanchezza che ti fa amare talmente tanto ciò che fai che non ti fermeresti più. Cinque mesi fa è successo qualcosa di irreversibile. Ci vorrà tempo, tanto, nessuno dice sarà facile, anzi. Sarà doloroso, insensibile, esaurirà a volte ogni forza, mentale prima ancora che fisica. Ma tu in quel momento sei lì. In mezzo ai mondi a trovare il tuo nuovo equilibrio, il tuo ritmo. Diego dice:“Che bello che è quassù.” Io, su quel quassù, che spicca come una roccia sotto il cielo azzurro, ho visto la mia Longana, fiera e sorridente.


Lasciamo il tracciato, ormai la mattina è finita. Per una scorciatoia ci riavviciniamo a Lozzo e all’arrivo del trail. Lo superiamo nel senso contrario rispetto al tracciato, tra applausi commossi e di festa. Il gps dice che abbiamo fatto quasi 10 chilometri. Ci abbiamo messo 4 ore.

Io in 4 ore copro la distanza di una Maratona.


Non è il mio ambiente correre in mezzo ai sentieri. Non è l’ambiente nemmeno di una persona senza una gamba. Ho pensato che nemmeno le strade sono l’ambiente di una persona a cui il destino ha mangiato un arto. E quando diventi uno skyrunner come Moreno Pesce, ogni cosa è da conquistare e quei 10 chilometri in compagnia di Diego e Moreno sono state 4 ore di sport, durante le quali loro hanno accompagnato me. Moreno con la sua esperienza, Diego con i suoi primi passi, letteralmente, in una nuova dimensione in cui lui vivrà per tutto il resto della sua vita. Ho imparato un casino di cose. Sportive: ho imparato come si corre o come si cammina in salite. Ho capito a non aver paura delle discese. Ho capito che sia che tu perda, sia che tu vinca sei sempre tu a decidere la strada che ci sarà dopo, perché il risultato che dipende da te, non è altro che la conseguenza delle tue scelte. Ho capito che tenacia deve essere un vocabolo scolpito in titanio dentro di noi. Ho capito che il carbonio è talmente tanto fragile da essere uno dei materiali più potenti in circolazione. Ho capito che 4 ore non sono nulla né per fare la Maratona né per fare 10 chilometri. Ho capito che il tempo esiste, non ti guarda in faccia e scorre, ma ti permette di scegliere come lo utilizzi. Diego è partito da Lozzo con i pantaloni lunghi, perché la protesi doveva restare lì. Ad un certo momento del trail, quando era sfinito e avevamo ancora due chilometri e mezzo davanti, ha deciso di restare con i pantaloni corti, perché la gioia che stava provando per essere arrivato in fondo alle Longane gli stava dando un nuova prospettiva. Ho visto un uomo rinascere. 


E ho capito che prima di essere uomo di risultato, che cerca di fare il tempo, devi essere uomo, che quassù cerca di sentire in faccia il vento.

Longana mia, quanto sei bella!

Alberto

(@per4piedi)

 

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