A me piace incontrare i migliori. I migliori sono quelli che conoscono tutto del loro ambito e magari ne hanno creato un pezzo, in modo originale, loro. I migliori sono quelli che ti parlano in modo semplice, tanto che le parole prendono quasi vita e vedi all’istante con gli occhi quello che le tue orecchie ascoltano. E se riescono a farlo senza tirarsela, ma accompagnandoti, allora rischi di crescere un po’.
Orlando Pizzolato ha fatto qualcosa di unico quando ha vinto per due volte consecutive la Maratona di New York: edizione 1984, poi 1985. Lo stesso anno dell’oro alle Universiadi. Nell’88 è arrivato al primo posto a Venezia. E ora Pizzolato parla semplice, con il sorriso nella voce, la precisione dei termini e nei modi. Non usa mai il termine runner, preferisce podista, atleta. Non per rifiuto dei termini inglesi, quanto piuttosto per chiamare le cose con il loro nome nel momento in cui te le racconta. Pizzolato è il testimonial (e qui l’inglese scappa a me) della seconda edizione della Lignano Sunset, la mezza Maratona che sabato 10 giugno illuminerà il litorale friulano, dalla pace della natura lungo il Tagliamento al glamour dell’arrivo in centro.
Pizzolato, lei oggi è uno degli allenatori italiani di corsa più ricercati e seguiti. Come è stato il cambiamento da atleta di élite ad allenatore di podisti, anche amatoriali?
“Meno traumatico di quello che pensassi, è accaduto 25 anni fa, in modo naturale, per gradi. Tutto è iniziato nel 1992. Volevo dare una continuazione alla mia vita nel podismo, dopo il ritiro come atleta. Ricevevo tante chiamate da amici o conoscenti che mi chiedevano consigli sulla corsa. All’epoca la figura che oggi viene definita personal trainer nella corsa non c’era. Avevo però un esempio, negli Stati Uniti: Jeff Galloway. Così ho provato a dare alle mie risposte una forma organizzata. Ma non è stata un’idea realizzata all’istante, per gradi, come è giusto che sia.”
E all’epoca non c’era tutta la tecnologia a disposizione adesso nello sport e nella comunicazione.
“Oh no. Le prime tabelle che proponevo dovevano occupare lo spazio di un foglio A4, che poi piegavo, mettevo in una busta, affrancavo e spedivo. Le preparavo con matita e gomma, per correggere gli errori di calcolo. Adesso alleno a distanza atleti italiani e di altri Paesi.”
Fino a dove arrivano ora i suoi consigli via email?
“Seguo persone che abitano a Shangai, in Cina. Il ragazzo più lontano credo sia di Canberra, in Australia. E lui, tra l’altro, è fortissimo nei 10mila metri ed è arrivato terzo ai campionati australiani di 100 chilometri. Poi mi incuriosisce molto seguire i connazionali che lavorano all’estero e magari corrono soprattutto per riempire il tempo dopo il lavoro, per non restare chiusi in albergo. Lo trovo un bel modo di fare.”
Come è cambiato il podismo in questi 25 anni?
“Tutto si è evoluto. Le gare si sono evolute. Ad esempio, anche le non competitive avevano un tasso agonistico davvero elevato. Poi il trail aveva valenza di allenamento, adesso ha una forma organizzata, che abbina il contatto con la natura alla voglia di lasciar stare la misurazione del tempo. Ecco la misurazione del tempo è un’altra forma di evoluzione, che però è quasi una dipendenza.”
Cosa intende?
“Adesso si misura tutto, in ogni settore. E questo secondo me obbliga ad utilizzare il cervello in ogni momento. Nella corsa, ad esempio, si guardano di continuo il gps, le statistiche, le percentuali. Troppo. Bello è andare a correre in natura. Quello che un supporto, molto utile, non può essere una dipendenza. Gli atleti africani quando corrono non sanno a quanto stanno andando, vanno a sensazione, si ascoltano.”
Come nasce il legame con Lignano e la Sunset Half Marathon?
“Sono stato a Lignano in passato per condurre alcuni stage. E’ una zona molto appropriata per l’attività fisica. La Sunset è interessante, si pone nel novero delle corse che stanno crescendo bene, perché organizza in modo coerente l’abbinamento tra sport, turismo, aggregazione. E poi c’è il mare.”
Situazione ambientale che attira da anni anche i velocisti jamaicani.
“Sì, e non è un caso. Durante l’estate ci sono le gare in Europa e bisogna fare base in un luogo tranquillo, vicino ad un aeroporto internazionale. Nel caso specifico credo inoltre che a Lignano la nazionale della Jamaica abbia trovato un contesto per allenarsi che fa sentire gli atleti a casa. In più, credo ci sia un pizzico di scaramanzia, visti i successi che hanno realizzato in questi anni.”
Veniamo a New York: come è stato vincere quella Maratona e per due volte di fila?
“Un sogno, ma per farlo capire devo contestualizzare ciò che intendo. Adesso la Maratona di New York va di moda. Allora era la Maratona in assoluto, per tutti, dall’amatore all’atleta professionista esperto di gare d’élite. Inoltre, era ad invito. L’anno della prima vittoria, dall’Italia siamo partiti in 150, meno di un decimo degli italiani che ogni anno la corrono ora. Era un’area riservata a pochi e anche gli amatori erano atleti che vivevano tutto l’anno come professionisti, nell’ottica del risultato agonistico. Inoltre, solo adesso la città di New York offre quello che serve, mi riferisco ad esempio alla pastasciutta buona per l’alimentazione del Maratoneta, o al fatto che, per motivi di sicurezza, non si potesse allenarsi in alcune zone di Central Park. Il Bronx era un quartiere ghetto, adesso è residenziale. Quindi correrla, vincerla, ripetersi l’anno dopo. Ecco, un sogno.”
Quale consigli dà a chi proverà a correrla?
“E’ un’esperienza stimolante. Occhio a non far diventare questa bellissima caratteristica un boomerang. Si va a New York per correre, non in gita. E’ un evento totale, perché la città vive per i corridori in quella settimana. Non mi riferisco solo alle logiche di business e di marketing, che disegnano un contorno indimenticabile, mi riferisco ai newyorkesi che rispettano e amano chi corre e chi corre la Maratona della loro città. E bisogna essere bravi a non farsi travolgere dall’adrenalina, ma gustarsela. E non sottovalutare la distanza e il tasso tecnico: una caratteristica su tutte: la somma del saliscendi equivale all’altezza dell’Empire State Building. Non bisogna sopravalutarsi, lasciandosi entusiasmare dal pubblico. La benzina devi essere tu, così ti godi New York e ti rendi conto che stai realizzando una delle cose più belle che farai nella tua vita. Mettetevi nella condizione di godervi l’adrenalina che c’è lungo quelle strade.”
Intanto ci vediamo a Lignano,
Ciao
Alberto
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