I muri vanno presi a spallate.

Ammetto che non avrei voluto scrivere un post sulla 30 Trentina. Non perché non sia stata una bella gara o una bella giornata, anzi, ma perché, semplicemente, per una volta non avevo voglia di scrivere.
I 30 chilometri attorno ai laghi di Levico e Caldonazzo li vedevo più come un allenamento intenso, di quelli che ti dicono a che punto del percorso sei arrivato e quanta strada ancora c’è da fare per arrivare a correre una Maratona nelle prossime settimane.


E poi capitano alcune storie che fanno la differenza e, credo, meritino di essere raccontate qui. Sono storie che non c’entrano nulla l’una con l’altra, sono proprio slegate, quindi è anche difficile trovare un filo per collegarle. Però mi dispiaceva non raccontarle e tenerle per me. Come tre fotografie belle, che finiscono nel buio di un cassetto. Ho deciso di non pensarci e scrivere. Punto.

Colazione. La colazione è importante per qualunque corsa, specie per una corsa di 30 chilometri a ritmo lento, lungo la quale non bisogna arrivare a bruciare gli zuccheri, ma usare solamente i grassi. Dove l’acido folico è importante e quindi bisognerebbe evitare il caffè ed il tè, come dicono i coach più bravi. Io al tè non rinuncio. E poi vedo che al buffet dell’albergo di Levico c’è una meravigliosa ciotola piena di nocciolata. Penso che l’abbinata perfetta siano dei toast. Faccio scorrere due fette di pane nel fornetto elettrico. A me quel momento ricorda sempre chi corre sul tapis roulant. 

Mi si avvicina un uomo, su una carrozzina. Noto che indossa la maglia della Maratona di Berlino 2017, che si è svolta nella stessa domenica della Trentina. E questo particolare mi colpisce. Non resisto e gli chiedo come mai abbia quella maglietta. Sono domande da runner, queste.

Mentre ascolto la sua storia, faccio scorrere altre due fette di pane nella tostiera per lui. Lo faccio perché il fornetto è troppo in alto, troppo scomodo per lui. Questo uomo, di cui purtroppo non conosco il nome, mi racconta che era un triatleta, di quelli forti. Poi un giorno il mondo va in testa coda e lui si sveglia in carrozzina. 

Un muro davanti. 

E ora? E lui decide di non lasciare il triathlon e di diventare allenatore. Alla Trentina sta accompagnando alcuni ragazzi che correranno per la prima volta la distanza di 30 chilometri. Scalare un muro per aiutare ad abbattere un muro. I toast sono pronti e ci salutiamo.

Torno al tavolo e vedo che qualcuno aveva già pensato a me e mi aveva preparato dei toast.

La seconda storia avviene lungo una salita di un chilometro esatto, poco dopo metà corsa.

Qualche passo dietro di me, sulla destra c’è Romina e sulla sinistra Daniela. Entrambe stanno correndo per la prima volta i 30 chilometri, tappa fondamentale verso la loro prima Maratona: una a New York, l’altra a Venezia.

Le ammiro tanto, davvero. Perché ad ogni passo, da mesi, si stanno mettendo in gioco.

Tutti e tre odiamo le salite. Anche se le salite sono quelle che fanno rimanere nella storia e allenano mente e corpo. 

E allora decido di fare una cosa, solo per il gusto di aggiungere sfida alla sfida e ingannare quel chilometro di asfalto. 

Allungo il braccio destro verso Romina. Tre passi e sento che lei mi prende la mano. Corriamo insieme. Prima ci teniamo per le dita, temo di perdere il contatto e allora allungo la dita verso il suo polso e lei fa lo stesso con il mio. Ora il contatto è più stabile. Allungo il braccio sinistro e Daniela lo afferra. E via, ridendo. Forte. E’ una risata collettiva e contagiosa. E’ una risata in faccia alla salita. Ho il cuore che sale tanto quanto la pendenza.

Alla fine della salita, le due ragazze mi lasciano e io mi sento come spinto in avanti. Le risate continuano e credo che ora abbiamo capito che la salita può essere ingannata. Che i limiti sono spesso solo nella testa. Che se sorridi mentre combatti e metti passione nelle scarpe e intelligenza nelle mani, ogni nemico può essere abbattuto.

La terza storia si svolge in curva.

 Sono seduto a guardare il lago di Levico ripensando alla corsa. Mi giro a destra e, in lontananza, vedo un punto biondo che si sta avvicinando. 

E’ Federica. Ha un sorriso grande come la luna che c’è in cielo in questi giorni e sta correndo verso il traguardo dei suoi primi 30 chilometri. Anche lei sta preparando la sua prima Maratona, anche lei a New York, nel giorno del compleanno numero 40.

Affronta l’ultima curva sciolta, stanca, sicura. “I miei primi 30 chilometri”, urla, amplificando il suono delle parole con le mani al cielo, quasi a dire: “E ora questo non me lo toglie più nessuno.”.

Federica sta preparando la sua prima Maratona, ma ha già vinto una gara che a confronto l’Ironman di Kona è un giro di una pista di atletica.

Seguo la scena con lo sguardo e la riprendo con il telefonino perché quel momento va ricordato. E in quella curva urlata, scalciata, vedo tutta la vita che c’è dietro alle mura che la vita ti può mettere davanti.

Nel viaggio di ritorno da Levico guardo le montagne in cui si specchia la sera. Continuo a dire che meno male che c’è la corsa, e tutto il mondo che mi sta facendo vivere, anche se non ho tanta voglia di correre ultimamente

Paradossale, vero? 

E, ti dico, che in certi giorni non è questione di ritmo, velocità, chilometri da coprire. Anzi, queste sono tutte cazzate. 

Piuttosto, è questione di riscoprire il gusto di mettersi alla prova, di resistere a tutto per raggiungere ciò che si vuole, di capire quanto bello e importante sia prendersi cura di qualcosa e di qualcuno, e della dedizione che questo ti permette di avere.

Ed è questione di passione, quella che ti fa correre per trenta chilometri anche se davvero non ne hai voglia, quella che ti fa dire dammi la mano che andiamo oltre quel muro, quella che mi fa dire “Io sono qui.” Punto.

Alberto

(@per4piedi)

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