Ammetto che non avevo in programma di scrivere questo post. Poi, al traguardo della Mezza di Treviso, ho visto una ragazza toscana che si commuove solo perché vede le persone arrivare felici alla fine della corsa. Ho pensato a Massimo che non ha ancora finito la sua di corsa e si ritrova a dover vincere la gara più importante. E ho pensato alle ragazze di #RuntoNYC di Diadora, che tra meno di un mese sfideranno le strade di New York e che, per 48 ore, hanno avuto Treviso come casa e le strade della Mezza come ultimo allenamento prima della Maratona che tutti sognano. E ho pensato a quanto tu, correndo, stia portando te stessa ogni giorno un po’ più in là, per vedere quanto ancora sia inesplorato il mondo che credi di conoscere già.
Mentre pensavo a tutto questo, mi è arrivato un messaggio. Un grazie inaspettato, vivace, per aver regalato una manciata di istanti di corsa, che io nemmeno sapevo di aver dato.
A quel punto, le parole hanno preso a scorrere, con un ritmo lento all’inizio, che poi è salito, si è fatto rapido, agile, costante. Senza forzare, è diventato veloce. Una progressione. Assomiglia alla corsa delle Bordin Girl, un passo dopo l’altro. Da mesi. Lunghissimi a volte, rapidi adesso che il volto di New York sta apparendo deciso dall’orizzonte sopra l’Oceano.
Con un po’ di fantasia, nemmeno tanta in realtà, l’acqua del Sile che accompagna il tracciato della Mezza di Treviso è la stessa che arriva al mare Adriatico. Scivola fino al Mediterraneo e, dalle parti di Tarifa in Andalusia, supera il confine con l’Oceano Atlantico. Da lì raggiunge New York. Dicono che l’acqua del mare di questa parte del mondo impieghi più o meno un mese per toccare l’altra parte laggiù. Come dire, quello che le ha portate fino a Treviso, le ragazze lo troveranno al traguardo a New York.
Penso che in questi mesi ognuna di loro abbia cambiato il modo di vivere le giornate. Ecco perché è così importante scegliere le scarpe che si indossano. Bisogna stare comodi mentre si affrontano i cambiamenti. Credo abbiano capito fino in fondo le differenza tra tanti allenamenti e una gara. Magari qualcuna ha cambiato lavoro, in questi mesi, città, colore delle pareti di casa o taglio di capelli. C’è chi sta capendo a che punto si trova del proprio romanzo personale e chi ha imparato che l’emozione è meglio scioglierla in una risata, perché piangere fa perdere liquidi e se poi nessuno raccoglie le lacrime è un bel casino.
E che se tra te e la corsa si mette di mezzo un muscolo sconosciuto chiamato soleo, questa è solo una motivazione per tornare più forte di prima. Penso che tra un mese di tutto questo resterà solo un ricordo magico. Quel giorno lo vedo ancora lontano e poi c’è tutta l’adrenalina di New York ad attenderci. Mi piace pensare che la notte dopo la fine di #RuntoNYC, ogni luogo che ha ospitato questo viaggio si fermerà un istante per dire: “Brave ragazze, avete volato.”
Tra le molte cose che ho imparato raccontando questa grandiosa storia e’ che una squadra non è fatta solo dalla maglia che indossa. Una squadra è fatta di attese comuni, prove di resistenza collettiva e svariati bicchieri di birra o di prosecco. Un runner non è fatto dai tempi che fa o di quanti se ne lascia dietro prima del traguardo. Credo che un runner sia fatto di passione, lealtà, coraggio, determinazione, istinto, strategia e sudore e lacrime e sorrisi che si possono vivere liberi tra il sole e la luna. E uno queste cose non le improvvisa: o le hai nella vita o non le hai proprio. E’ come una Maratona, non si improvvisa.
Ecco, oggi ho capito che non bisogna avere zavorre nelle tasche o nelle scarpe. Anzi, le zavorre vanno lasciate cadere vicino al cancello, prima di uscire.
Bisogna volare verso l’alto.
E farlo forte.
Ragazze, ci vediamo a New York.
Alberto
(@per4piedi)