La vita segreta dei triatleti (guerrieri pazienti).

Fino a ieri del Triathlon sapevo due cose: ogni prova, anche quella più corta, lo Sprint, è composto da tre discipline (nuoto, bicicletta, corsa). Poi sapevo che chi pratica il Triathlon si allena tanto. Ma tanto.

Dopo 24 ore a stretto contatto con chi parteciperà alla prova del ChiaSardiniaTriathlon (Sardegna del Sud: dicevano fosse un luogo magico, caspita se lo è!) so molte più cose di un triatleta, uomo o donna che sia.

E molte di queste rendono un triatleta diverso da uno che corre e basta, come me.

Il sarcofago e il salvagente.

Ho visto, ad esempio, che negli spostamenti per raggiungere il luogo della gara, la bicicletta è smontata in varie parti, che vengono ordinate in un sarcofago protettivo.

Poi, la bici va rimontata.

Un triatleta che rimonta la propria bicicletta compie un gesto quasi religioso, tanta è la concentrazione e la dedizione che ci mette.

Poi ho imparato che nuotare in mare è un filtro naturale di questo sport. La selezione si fa qui, mi dicono, alla prima delle tre prove. Per questo, ritengo, che i partecipanti curino il nuoto in un modo che li porta a nuotare con la muta da gara nella piscina del villaggio che ospita gli atleti e le loro famiglie. In pratica i bimbi giocano con il salvagente a forma di unicorno, i triatleti nuotano a zig zag tra loro.

Babbo Natale è un triatleta, ma quanti watt producono le renne?

La muta, poi, viene appesa all’esterno delle casette del villaggio e l‘effetto è quello dei Babbi Natale che scalano le terrazze delle case in dicembre.

Il triatleta mangia, e questo è comune a noi che corriamo e basta. Il triatleta sta attento all’idratazione (come noi), ai battiti del cuore (come noi), ai watt sviluppati durante la prova in bici.

E ho capito che la spiegazione del funzionamento del watt è simile a quella del fuorigioco nel calcio.

Tattoo e braccialetti.

Ho capito che molti triatleti portano piercing e tatuaggi. Nei tattoo, i soggetti ricorrenti sono le mante, i gladiatori, i samurai, le pinne di squalo; tra le donne: le iniziali del nome dei figli, simboli tribali che celebrano il gesto del respirare.

L’ultima prova di ogni Triathlon è la corsa a piedi.

Scopro che può capitare che i chilometri siano organizzati in circuito, da ripetere più volte. Ad ogni passaggio, al concorrente viene consegnato un braccialetto che serve per contare i giri compiuti.

Pazienta, riposa.

Quando corrono a piedi, i triatleti pensano alla distanza da compiere e al tempo da battere. Ecco, forse sbaglio, ma credo che questo sia uno sport che ti porta ad avere il tempo come avversario costante. E per batterlo, il tempo, non puoi mica improvvisare. Devi allenarti sei giorni su sette, svegliarti al confine delle notti per andare a nuotare in piscina, dove l’allenatore fischia stridulo prima dell’alba. Devi dedicare i fine settimana agli allenamenti lunghi di corsa, in bici o a piedi. Durante la settimana dedicarti, a giorni alterni, ad almeno una disciplina.

E imparare a riposare. In modo lineare, regolare, senza pausa.

Ho capito che il triatleta impara subito che, anche mescolando tutti gli ingredienti della sua vita segreta, non è detto che il risultato arrivi. Ci sono un sacco di variabili da considerare. Molte, indipendenti dagli allenamenti massacranti e del tempo dedicato allo sport.

Ecco, ho capito che i triatleti sono guerrieri pazienti.

La prova di Chia prevede un mezzo Ironman, tradotto: 1.9 km di nuoto, 90 km di bicicletta, una mezza Maratona.

E domani assisterò al mio primo Triathlon dal vivo. E adesso ne so qualcosa di più.

Ciao,

Alberto

(@per4piedi)

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