È tempo di giocare, mi ha detto uno sciamano.

Fabrice ha 26 anni e ha già maturato tanta esperienza di qualità nelle corse di lunga distanza. Due le volte che ha corso i 100 chilometri del Passatore. Poi ha scalato l’Etna con la super Maratona che ti porta dal livello del mare Adriatico a 3mila metri di quota. Racconta che il suo trail più suggestivo sia stato l’anno scorso, la Lavaredo Ultra Trail: 120 chilometri per 6.000 metri di dislivello positivo. Per uno che corre quasi solo su strada come faccio io i numeri mi colpiscono, ma mi impressionano di più i luoghi.

Fabrice ha affrontato l’edizione 2018 dell’Antico Troi degli Sciamani, quasi un viaggio iniziatico, attraverso la Foresta del Cansiglio, luogo magico, mitologico. 82 i chilometri davanti, 4.600 i metri di dislivello positivo, una notte intera ad aspettarti.

E dentro al bosco, Fabrice vive una delle esperienze che più gli hanno insegnato qualcosa.

“Era sabato mattina e alle ore 23 sarebbe partito l’Antico Troi degli Sciamani – mi racconta Fabrice – in realtà non sapevo ancora se avrei potuto partecipare, perché avevo qualche imprevisto da risolvere. Mi sembrava l’epilogo di una settimana dura e densa di impegni. E improvvisare all’ultimo 82 chilometri di corsa non è una cosa semplice, se la testa non ti permette di essere lucido.”.

Poi il destino fa la differenza. “Solo alle 17 ricevo la notizia che aspettavo e mi affretto a raggiungere Fregona, luogo di partenza del trai notturno. Arrivo nella piazza del paesino trevigiano un’ora prima del via, ritiro il pettorale, sistemo gli ultimi dettagli. Il cielo da limpido inizia a imbronciarsi, tanto che alla partenza ci sono anche lampi e tuoni. Fortunatamente incontro il grande gigante Francesco Fazio e smorzo con lui la tensione, dandoci appuntamento per una birra all’arrivo.”. La piazza di Fregona è rischiarata dalle fiaccole che segnano la partenza. Fabrice si sente bene, le gambe girano veloci, come i pensieri che l’ultra runner porta con sé tranquillo. “Ero proprio sereno e mi sono accodato alla serpentina formata delle lampade frontali dei partecipanti, che illuminano le spettacolari grotte del Caglieron. Saliamo per 10 km, oltrepassando i 1000 metri di dislivello, e con l’aiuto dei bastoni diventa più facile.” Poi tutto cambia, nello spazio di uno sbadiglio. “Attorno al ventesimo chilometro, in zona della Val Piova – prosegue Fabrice – mi sento stanco, sbadiglio, non capisco o non voglio capire che succede. Ho mangiato e bevuto come da programmi, ma inizio a rallentare il passo. In discesa mi sento meno sicuro e stabile, subisco il fango formatosi nei giorni scorsi per la pioggia. Provo a farmi forza, mi ripeto più volte di stare tranquillo e che tra poco avrei trovato un po’ di Coca Cola.” Fabrice pesca nei ricordi di altri trail, disciplina a cui si è avvicinato seguendo le imprese di Alex Geronazzo. Cerca di rivivere le sensazioni di emozione che gli dà correre attraverso la natura, pensa al traguardo, ma nulla: la testa si è fissata sul pensiero di fermarsi e dormire. Una delle cose più naturali della Vita. “Ho provato a pensare ad altro, a frazionare i km perché pensare in quel momento di averne davanti altri 52 mi era impossibile. Inizio a stare male, barcollo, cerco di ingannare il cervello, ma alla vista della lunghissima salita del Col del Gal crollo. Mi fermo, alzo gli occhi al cielo, sembra ridere. Riparto, penso a cosa mi spinga a fare ciò che faccio, al divertimento, che ora manca, ora c’è solo la stanchezza che non mi permette di godermi il luogo. Non sento nulla, se non che il gioco sta diventando un gioco pericoloso. Cado due volte in 2 km, spingo in salita, ma il passo è sempre più lento: l’unico pensiero è arrivare al primo ristoro e dare fine a questo strazio.” Arriva il 30° km, Fabrice mette da parte la ricerca di emozioni nuove e fa intervenire la saggezza degli sciamani. “Decido di ritirarmi: continuare in questo stato andrebbe davvero contro i valori e la sicurezza del trail running – sottolinea – nonostante sia contrario ai ritiri, ma è giusto essere saggi, perché la montagna non dev’essere sottovalutata, è una forma di rispetto. E la testa deve sempre essere lucida per valutare le situazioni in cui è giusto continuare o, ahimè, mollare, anche se l’orgoglio presenterà il suo conto.” E in quel momento Fabrice si accorge di una cosa: “Mi sono allenato molto in questi mesi, ho corso, a piedi e in bicicletta, ho affrontato varie cose anche nella vita di tutti i giorni. Forse mi manca il tempo per godermi il gioco. Ecco: devo riposare e ritornare a giocare.”.

 

Alberto

(@per4piedi)

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