È da tempo che voglio partecipare ad una corsa a tappe. Non ho mai avuto modo di farlo e mi attira questa logica che ti porta dentro ad un nuovo territorio, per più di un giorno alla volta, e ti fa scoprire le strade, i percorsi e le storie che lo attraversano. Soprattutto, ti permette di provare che le mappe sono qualcosa di differente dai territori disegnati sopra.
Così la corsa a tappe me la organizzo io, in Alto Adige, o almeno in una sua parte, un territorio che non conosco.
Procedo un giorno alla volta, senza programmare nulla che vada oltre al tramonto, senza fretta.
E per aggiungere un po’ di pepe alla strada che mi si apre davanti in questo fine agosto, mi sono dato un piccolo obiettivo sportivo personale: correre 100 chilometri in 10 giorni.
Qualcosa che non ho mai fatto, in un territorio sconosciuto. E da solo: questo è un viaggio in solitaria.
Meglio, è un gioco on the road e on the run e le regole sono semplici: guido finché ne ho voglia, quando mi piace un luogo mi fermo, cerco dove dormire e faccio qualche chilometro di corsa. Asfalto o bosco. Sono attrezzato per tutto, tranne che per la neve. Ma poi: vuoi che in agosto scenda la neve?
La Corsa delle Patate è un punto buono per partire: 16 chilometri e 700 metri dal centro di Brunico alla sagra di Campo Tures. Detto in altri termini: 3/4 di una mezza Maratona. Una classica del podismo altoatesino, arrivata alla ventesima edizione, che mette orgogliosamente le patate della Val Pusteria nel pacco gara.
Mentre mi sto preparando, una bellissima sconosciuta mi chiede: “Secondo te, tengo o no gli occhiali da sole?”.
“Direi di no. Se a te non dispiace io invece li tengo per motivi vitali, diciamo”, rispondo scherzando. Chiara, scopro che si chiama così dal nome sul pettorale, ride e mi racconta che corre dall’inizio della primavera, ama queste zone e lavora nella cucina di una casa di riposo. Decidiamo di correre insieme, credo perché avere una squadra, anche improvvisata, che ti sostiene faccia andare più lontano.
La Corsa delle Patate è un gioiello di percorso, organizzazione e paesaggi. Inizia con un sali scendi che si fa rispettare, prosegue con campi di pannocchie e girasoli che diventano bosco e si conclude con curve veloci, spazzate del vento, mentre la festa inizia e al ristoro c’è l’anguria fresca. Qui, dove non insegui i top runner, ma i biotopi, correre è per davvero un incanto.
E poi c’è il terzo tempo, nel padiglione delle feste di Campo Tures, sotto lo sguardo pragmatico del castello dalle stanze di legno di cirmolo, riprodotto sulla medaglia che Chiara ed io abbiamo al collo.
Salsicce, crauti, patate e Radler a ricordare, tra folk tirolese e “Stand up, Stand up for Champions!”, che ridere fino alle lacrime supera i confini, anche del bilinguismo italo tedesco, e che la risata è l’unico suono che è uguale in tutte le lingue del mondo.
17,6 km alle spalle, ancora un sacco di storie da raggiungere.
Alberto
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