Mentre scrivo sembra che l’acqua stia ritornando a guardare Venezia dalla laguna.
Oggi si è corsa la Maratona. Oggi l’autunno ha mostrato quanto possa essere piovoso ed avvolgente.

Ho seguito l’edizione numero 33 della Venice Marathon al calduccio, alternandomi tra la diretta Rai, i social e le varie chat che riempiono di punti rossi lo schermo del cellulare.
Ho corso tante volte a Venezia, o lungo il percorso della Maratona, sulla riviera del Brenta. È una città che ho scoperto tardi, rispetto alla distanza che ci separa, e ne sono ammaliato e affezionato in modo indelebile.
E Venezia, quando piove, ricorda a tutti che lei è La città sopra il mare, che vuole essere rispettata, perché in quella malinconia serena, c’è qualcosa che se ti tocca, poi non ti lascia più.

E a questa magia importa poco se ci sono 13mila persone che corrono per arrivare al traguardo della Maratona.
Così, dopo che i top runner hanno chiuso la loro prova tra le 2 ore e 13 e le 2 ore e 40 dal via, quando già l’acqua lungo la Riviera degli Schiavoni copriva le caviglie, ho pensato ai miei amici e compagni di squadra che erano dentro quella atmosfera, come in una palla di vetro con la gondola dentro, che se capovolgi, si riempie di neve.
Ho guardato le previsioni, ho pensato che, nonostante la fatica, i partecipanti non avrebbero goduto della passerella attorno a piazza San Marco, con la gente che urla il tuo nome e ti fa dimenticare la fatica più i quattordici ponti finali.
Bella beffa davvero. Eppure il Maratoneta prosegue, è fatto così.
I miei amici e compagni di squadra proseguono, lo so.
Allora sfrutto la tecnologia, apro l’app di TDS, uno dei siti internet che si usa per iscriversi alle gare, cerco nella sezione notizie, quella che individua dove sono i partecipanti, grazie al gps. Del resto, penso, il gps è nato per trovare e mantenere la rotta in mezzo alle acque.

E così, scrivo il nome della mia squadra “Fuel to run” e compaiono i nomi dei Sette Samurai rosso crociati che stanno correndo a Venezia. C’è anche Paola, che ha corso la gara di 10 chilometri, dopo tre mesi di stop ed è contenta delle belle emozioni che ha vissuto.
Vedo che Carlo ha già terminato la sua Maratona: un fulmine in mezzo all’acqua in poco meno di 3 ore e 40. Lo racconto agli altri ragazzi del gruppo di Whatsapp (a volte i gruppi di Whatsapp sono utili) e inizia un gioco, una cronaca in diretta degli ultimi chilometri della Maratona.
La chiamiamo Whatsapp-cronaca?
Gli altri 6 sono al passaggio dei 30 chilometri, al parco San Giuliano, prima del ponte della libertà, nome perfetto, dal significato mistico quando lo attraversi durante la Maratona, immagino cosa deve essere stato oggi.
Tra i sei c’è anche Andrea V., che in meno di due mesi ha corso 8 mezze Maratone e una 30 chilometri, e Stefano che sta per diventare Maratoneta. Un battesimo davvero, il suo.
In chat, scherzo sull’arrivo di Carlo: “Carlo ha finito, spettacolo. Gli ultimi metri è andato a pagaia“.
“Mitticcoooo”, risponde iSeven.
Nel frattempo noto che Andrea F. è entrato negli ultimi due chilometri e ipotizzo che il pubblico urli “Prova a rana, a rana!”.

E intanto Andrea F. arriva, tra il tripudio della squadra via Whatsapp.
Dico:”I runner, dopo la passerella sopra il Canal Grande, vengono dotati di pagaie, se di altezza superiore al metro e sessanta, di trampoli a molla, se inferiori.”
Sui social vediamo video e foto che raccontano come l’acqua sia arrivata all’altezza delle ginocchia di chi corre e mi chiedo se sia ancora corsa, mi chiedo quali forme possa assumere la Maratona, che per definizione presuppone una strada terrestre ed una meta, dove portare un messaggio.
Poi il gps sparisce. Non trovo più gli aggiornamenti, così per una buona mezz’ora. In mare succede.
Un po’ mi preoccupo.

Poi il segnale si riattiva e ci racconta che anche l’altro Andrea V. è arrivato e in chat arriva la sua tradizionale foto di tre quarti con le medaglia in bocca.
La medaglia di questa edizione della Maratona ha una gondola cesellata dentro: coincidenza beffarda, ma oggi la gondola era necessaria davvero.
Questa è una Maratona che è già entrata nella leggenda dell’almanacco della corsa, credo sostituendo quella del 2012, anche quel giorno era il 28 di ottobre.
Statistiche da cronista sportivo a parte, ecco che appare all’arrivo il numero 2933. E scrivo dal divano agli altri compagni in ascolto a casa loro: “Ora tutti in piedi, perché dobbiamo dare il benvenuto ad un nuovo Maratoneta, il suo passo è generoso, sorridente, non molla mai, il suo nome è Stefano” e come fossimo allo stadio nella chat parte la olà.
Ma stiamo davvero parlando solo di corsa?
Dalla Maratona in versione pixel, emerge come Nettuno dalle onde anche Domenico. E poi in rapida successione, braccia al cielo, bagnati fradici, in una prova di nuoto in mare, ecco Patrizia ed Antonino.
Ci sono tutti!
Poz scrive che assomiglio al mitico Galeazzi mentre commenta il canottaggio. “C’è luce tra le imbarcazioni, andiamo a vincere, campioni del mondo.”
Io penso che questi qui che hanno corso oggi fino alla fine non siano eroi. L’eroe è un’altra cosa.
Penso siano corridori, perché il corridore corre fino a che non chiudono la strada, se c’è buio apre la luce (attenzione!), se fa caldo si alza all’alba, se fa freddo indossa la termica, se c’è l’acqua che non fa vedere dove finiscono i piedi, rallenta.
Ma il corridore non si ferma.
Per non parlare poi dei runner paralimpici: loro arrivano anche se non sembra possibile che partano.
E allora capisci cosa rappresenti la medaglia al collo, capisci perché secondo me Maratona va sempre con la maiuscola, capisci che se non te lo impongono, tu certo non ti fermi, capisci che la corsa è uno sport singolare, declinato al plurale e che un salotto può diventare una tribuna stampa e i divani possono diventare gli spalti di uno stadio.
Capisco anche che la Maratona di Venezia, il 28 ottobre del 2018, ha compiuto ancora una volta una magia. E che, quasi quasi, il prossimo anno magari un pensiero lo faccio.
Asciugatevi bene,
Alberto
#4piedi