Mi fa male il dente destro, giù in fondo alla bocca. Anche il sinistro si fa sentire. Sarà mica il richiamo del giudizio? Nemmeno il collo sta bene, è rigido, così come le spalle. E poi in questa stanza fa troppo caldo e ho mal di testa e il telefono continua a squillare: cosa avranno tutti da chiedere oggi?
Poi ci sarà il freddo del marciapiede fino alla stazione, il treno, di nuovo caldo misto ad odore di freni. Intanto, testa e collo continuano a pulsare, fuori, dentro ovunque. Dovrei andare a correre, ma faccio peggio: le vibrazioni prodotte dall’impatto dei piedi sul terreno producono onde che si espandono, risalgono per ossa e nervi, e scaricano tutta la loro energia cinetica su spalle, gengive e tempie. Fa freddo, di più: si gela, di quel gelo da febbre bianca che solamente in Siberia consente l’umana esistenza. E poi tutta la collezione di alibi invernali a disposizione.
Eppure vado a correre. Perché se c’è una cosa che ho imparato è che la costanza, alla fine della storia, vale più del talento. E questa sera corro con la mia squadra, la Fuel To Run.
Martina ha tracciato un percorso nuovo, dal terreno misto, con quel pizzico di avventura che ti dà attraversare la provinciale alla luce delle nostre lampade frontali, anche nella variante gilet luminoso.
Quando corri dopo il tramonto quello che vuoi è sentire il tuo corpo che si accende. E andare.
Al secondo chilometro tutti i miei alibi si sono dissolti nel vapore che si fa largo tra i capelli, mentre il mio gruppo si crea una strada in mezzo ai campi, con i cani agitati tra il buio dei cortili delle case, perché sembriamo buffe creature, illuminante qui e lì e sbuffanti.
La terra diventa di nuovo asfalto, e le caviglie sono salve e hanno fatto esperienza. La strada regala sinuosità e l’eco dei sotto passi, dove io urlo sempre. Poi il silenzio e ci accorgiamo delle stelle.
In questa parte di mondo, in inverno, ogni sera verso il sud si alza in cielo Orione, che la leggenda vuole guerriero, posto ad eterna difesa dell’equatore celeste. 130 stelle, tutte visibili a occhio nudo, così dicono. E non abbaiano come i cani di prima.
Noi qui giù ci attacchiamo alle nostre piccole e importanti luci frontali, o agli schemi degli orologi, che misurano lo spazio ed il tempo delle corse. Siamo minuscoli guerrieri della notte.
E perché non ci fermiamo e spegniamo tutto, solo per qualche istante? Tutto, luci, parole, pensieri persino. E lasciamo che solo gli occhi proseguano la nostra corsa, creando un ritmo senza tempo tra le stelle, che si moltiplicano man mano che gli sguardi si abituano a tanta luce nel cielo nero. Ciò che vediamo è un infinito orizzonte di capriole e possibilità, dove tutto può accadere, dove tutto è illuminato e volersi bene è l’essenziale.
La voglia di sognare va allenata, con costanza, tanto quanto ciò che serve per andarsi a prendere quei sogni.
E poi, vuoi non ridere?
Ciao,
Alberto
#4piedi