Trova il tuo ritmo, poi ripeti.

Se la corsa rilassata, seguendo le sensazioni di corpo e testa, la paragono al reggae, le ripetute, tanto selvagge quanto disciplinate nel tempo e nello spazio, mi ricordano il rock. E per trovare il proprio ritmo, bisogna confrontarsi con più generi musicali. Che poi la musica è fatta tutta della stessa sostanza, così come la corsa: la creatività.

La filosofia favorita dal caldo estivo finisce e mi trovo davanti la pista di atletica e di fronte Poz, corridore veloce e resistente, falegname preciso, cantante rock vivace. In quel momento impegnato ad impostare, nell’app della Garmin, il lavoro di ripetute che stiamo per affrontare. Poi la batteria del cellulare si spegne e quindi faremo i geometri della pista: tempo, spazio, giri di pista, recupero, riscaldamento e ritorno. Tradotto in numeri: 8 volte i 500 metri a 4 minuti e 25 secondi, con tre minuti di recupero a 5 minuti e 50. I collezionisti di statistica e tabelle sono accontentati. Aggiungo, per gli umanisti, che per me è una sfida impegnativa, per Poz non tanto, lui sfida il caldo.

Correre le ripetute è un esercizio che non mi piace, però, ogni volta che lo faccio, mi porta sempre più in una dimensione mentale dove sto bene.

Ci sei tu, i piedi e le gambe che devono girare veloci, poi rallentare senza fermarsi, una parentesi tra una partenza e l’altra, poi riprendere a spingere e di nuovo.

C’è la pista di atletica, 400 metri secchi, più tutti quelli che vuoi aggiungere. C’è il tempo, da sfidare, per vedere quanto a lungo riesci a tenere una velocità alla quale normalmente non riusciresti ad andare. Una prova di resistenza mentale. E capita, mi capita tutte le volte, di arrivare ad un punto in cui lo sguardo segue in modo naturale, quasi ipnotizzato, il colore dalla corsia, il corpo segue la curvatura e il dritto della pista, il cuore aumenta, aumenta, aumenta il proprio ritmo e la mente se ne va da qualche parte. Poi arriva il momento, questa volta accade alla fine della quinta serie, in cui il respiro si fa teso, la testa se ne accorge e dice di fermarti, torna a casa, birretta, doccia calda, abbiamo dato per oggi, basta così, e poi fa caldo, e poi e poi e poi. E’ normale, la mente lo fa perché ci vuole bene e ci protegge. Punta al risparmio.

Poz mi dice, “Controlla il respiro. Pensa ad una canzone. Io spesso penso ad un pezzo dei Police. Tre passi, respiro, tre passi. Di nuovo”, ed inizia a battere il ritmo. Ecco che le ripetute diventano musica, l’adrenalina si scioglie, la mente si distrae e adesso suggerisce, impone, urla di proseguire.

Siamo ancora due metronomi dentro al tramonto, il campo da calcio sempre sulla sinistra, gli spalti sempre a destra. Lì c’è la canna dell’acqua dove berremo alla fine, laggiù le colline, dietro si alzano le montagne. Dalle nostre parti, nelle belle giornate di sole senza nuvole, le montagne si colorano di azzurro. Più su il cielo estivo e via via via.

“Come si intitola questa canzone?”

“Eh, non mi ricordo. Trova la tua, trova il tuo ritmo.”

Dentro una rapida successione di passi mi vengono in mentre, non so da dove arrivino né perché, Snow dei Red Hot Chili Peppers, ma non va bene, Time of your life dei Green Day, ma, a malincuore, ammetto che non va bene per ogni situazione. Non riesco ad accordare mentalmente nessun pezzo rap, reggae, soul, jazz che conosco. E poi, all’ingresso della prima curva del sesto giro, mi viene in mente che l’inno dei tifosi del Liverpool, You’ll never walk alone, è perfetto. Perfetto per il momento, perché le ripetute con qualcuno accanto sono più leggere. Perfetto per il crescendo della musica e del testo. Perfetto perché io e Poz siamo in uno stadio e quella è una canzone da stadio. Perfetto perché la canti ora e pensi al futuro dopo e queste ripetute al limite – che abbiamo superato toccando un limite nuovo – le corriamo adesso, in vista delle Maratone in autunno. Perfetto, perché c’è tutto il ritmo che cercavo.

E mi sa che questo ritmo me lo porto in giro per il mondo, quando le strade di Berlino e Chicago e poi chissà mi inviteranno a ballare con loro. Su nuove frontiere.

 

Alberto

#4piedi

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